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Appendino: «Automatizzare per lavorare sicuri»

Domenico Appendino è nato nel 1951 a Racconigi (CN): laureatosi nel 1974 in Ingegneria al Politecnico di Torino – dove ha svolto fino al 1976 attività di didattica, ricerca e progettazione avanzata e ha conseguito una seconda laurea di specializzazione – si è occupato dal 1976 al 1978 di progettazione e realizzazione di componenti meccanici per impianti nucleari in Fiat TTG a Torino e dal 1978 al 1982 come direttore tecnico ha rinnovato completamente la linea di prodotto alla Ceast di Torino, società produttrice di apparecchi di controllo e misura. Dal 1982 al 2010 è stato dirigente del gruppo Prima Industrie, ricoprendo diversi incarichi nelle società del Gruppo (tra cui dal 1982 al 1983 Responsabile della Divisione Metrologia di Imperial Prima), ha realizzato e distribuito una nuova linea di prodotto e dal 1983 al 1995 Direttore e Consigliere d’Amministrazione di Sapri; ha sviluppato e distribuito la linea di robotica industriale della società. Dal 1995 al 2010 Direttore Marketing di Prima Industrie, è stato protagonista dell’internazionalizzazione del Gruppo nei Paesi emergenti e dal 1999 al 2010 della costituzione e sviluppo delle società di Prima Industrie in Asia nel ruolo di Direttore Corporate del Gruppo con mandato per le partecipate di cui è stato presidente, vicepresidente o consigliere d’amministrazione. Dal 2011 continua la collaborazione con Prima Industrie come vicepresidente esecutivo della capogruppo con la costituzione e avviamento di Prima Power Suzhou di cui è stato presidente fondatore e quindi con mandato per nuovi progetti speciali. Oggi è presidente di SIRI (Associazione Italiana di Robotica e Automazione) e consigliere Ucimu (Unione Costruttori Italiani Macchine Utensili).

di Edoardo Oldrati

 

Nei prossimi mesi potrebbe esserci un riassestamento della filiera globale con la necessità di un ritorno di alcune produzioni in Italia. La robotica può essere il modo per rendere questo reshoring sostenibile dal punto di vista dei costi produttivi?

Certamente, la robotica è già stata nel recente passato motivo di reshoring di molte aziende, ben prima di questa terribile pandemia che ora costringe tutte le industrie a ripensare profondamente i propri modelli e di conseguenza la propria filiera. Verso la fine del secolo scorso e ancora agli inizi di quello che stiamo vivendo la delocalizzazione di un processo produttivo in un Paese caratterizzato da un costo del lavoro più basso è stato tipico delle aziende “labour intensive” dove, essendo il costo della forza lavoro prevalente rispetto a quello del capitale investito in impianti e macchinari, il vantaggio era consistente rispetto alle aziende “capital intensive” dove invece la situazione è esattamente l’opposto. Oggi la robotica grazie alla sua flessibilità consente di automatizzare anche molti processi discontinui che prima richiedevano una forza lavoro consistente, per cui la sua presenza rende la redditività dell’azienda meno influenzata dal costo della forza lavoro diventando determinante per consentire il reshoring di questi processi. L’aumento di produttività consente infatti ad aziende “labour intensive” di rivedere e rinnovare la propria catena di fornitura e di trasformarsi anch’esse in “capital intensive”: Whirlpool, Caterpillar e Ford negli Stati Uniti e Adidas in Germania sono recenti esempi di questa tendenza e risulta che dal 2010 al 2015 siano stati rilocalizzati negli Stati Uniti 250.000 posti di lavoro grazie a varie iniziative di reshoring basate su un forte impegno di automazione e robotica.

Incrementare l’automazione in una fabbrica è da sempre un modo efficace per migliorare la qualità e la sicurezza degli operatori che in quella fabbrica lavorano. oggi, e probabilmente anche per i prossimi mesi, l’epidemia in corso ha reso ancora più centrale questo tema: quindi è corretto pensare che una fabbrica a elevatissima automazione è anche una fabbrica dove si potrà riprendere a produrre con rischi di contagio minimi (almeno per quanto riguarda le aree produttive)?

Sì, la sua osservazione è molto corretta. A conferma è interessante ricordare che il robot industriale, inventato nel 1961 e introdotto nella General Motors da Joseph Engelberger, aveva come scopo non solo di migliorare l’economicità e la qualità della produzione ma anche di alleviare l’uomo da lavori pesanti e dannosi quali lo scarico dei grandi componenti a temperatura elevata delle presse e la saldatura delle carrozzerie, dannosa per gli occhi e i polmoni dei saldatori. Tutta la seguente storia della robotica industriale è stata ed è al servizio dell’uomo, migliorando appunto la qualità e la sua sicurezza nel lavoro e gradualmente sostituendolo nelle mansioni più pericolose o pesanti per lasciargli quelle più “elevate” e a soddisfazione e salario maggiori. I robot hanno quindi eliminato nelle fabbriche dei posti di lavoro gravosi e insicuri creandone nel contempo altri migliori e in numero maggiore e per questo sono stati indiscussi protagonisti del miglioramento della qualità e della sicurezza nelle nostre aziende.

Se ci focalizziamo sulla sicurezza vediamo che i robot industriali tradizionali, rigidi e veloci, lavorano solo “in gabbia”, cioè meccanicamente isolati dagli operatori in modo da non poterli danneggiare per qualunque imprevisto umano o di macchina, mentre i recenti robot collaborativi, morbidi e lenti, operano vicino all’uomo perché progettati e costruiti per fermarsi al minimo contatto con l’operatore. Poter disporre di macchine con queste caratteristiche significa consentire agli operatori l’utilizzo di questi robot in completa sicurezza nella loro area di lavoro anche a distanza praticamente uguale a zero. Con questi robot diventa possibile quindi realizzare con un solo operatore dei processi che prima richiedevano più operatori insieme e quindi rispettare la regola principale in situazione di pandemia, il distanziamento tra persone, per evitare il contagio. Questo significa che è possibile realizzare isole di lavoro sicure, ciascuna con un solo operatore coadiuvato dove serve da uno o più robot collaborativi e ciascuna distanziata in modo corretto dalle altre per rendere così anche l’intero processo senza rischio di contagio. Inoltre, il collegamento dei processi produttivi tra di loro e con i magazzini d’ingresso, uscita e intermedi può essere effettuato con AGV di ultima generazione, che grazie al miglioramento dell’elettronica si sono trasformati in veri robot di servizio per il trasporto dei componenti, rendendo così l’intera area della fabbrica coinvolta in una zona immune dal problema della trasmissione del contagio in quanto con queste soluzioni si può garantire una distanza adeguata tra tutti gli operatori presenti, che nelle loro postazioni di lavoro si interfacceranno solo con robot e sistemi di trasporto intelligenti.

Per tutti questi motivi, è assolutamente vero che una fabbrica a elevatissima automazione, ripensata in un’ottica di isolamento, è una fabbrica dove si può produrre senza rischio di contagi. Se poi lasciamo le aree produttive dell’azienda e andiamo in ricezione e mensa, esistono robot di servizio a un livello di ingegnerizzazione e diffusione meno elevato che possono anche qui ridurre i rischi di contagio, prendendosi in carico operazioni intermedie che distanziano gli addetti o li sostituiscono, ma qui siamo ancora in fase sperimentale o iniziale. In questi ultimi terribili mesi, soprattutto nella fase più acuta del contagio, nei programmi televisivi d’informazione ne abbiamo visti operare alcuni in qualche ospedale in aiuto al personale medico per il trasporto di medicinali e cibo, per la disinfezione degli ambienti, per coadiuvarlo vicino ai pazienti e nei laboratori di analisi. Invece nelle aree tecniche e amministrative per la sicurezza è stata ancora protagonista la tecnologia ma più come bot, intelligenza artificiale e sistemi di comunicazione.

Nell’emergenza CoViD-19 stiamo ragionando su un nuovo modello di organizzazione del lavoro. Termini come controllo in remoto, digitalizzazione dei processi sono temi base dell’Industria 4.0, ma anche le sfide che l’emergenza coronavirus ha posto a tutte le industrie italiane. Le aziende della meccanica erano pronte?

Questa pandemia ci insegna molte cose, che non sono limitate allo specifico periodo del contagio ma ci devono fare pensare a nuovi modi di fare lavoro e industria. Questo è a mio avviso un tema importantissimo, che rappresenta un’opportunità per il futuro delle nostre aziende e del lavoro di tutti noi. Credo però che non tutte le aziende della meccanica siano veramente pronte a un nuovo modello di organizzazione, che spinto dall’emergenza possa approfittare di questa situazione per cambiare evolvendo radicalmente con metodi e tecnologie che fino a ieri erano considerati da molti solo del futuro, ma che invece già esistono, e la pandemia ha solo resi visibili in modo più ampio. Si tratta di un’ulteriore evoluzione della Fabbrica 4.0 che come noto non tutte le industrie hanno interpretato in modo corretto. Sono invece sicuramente pronte tutte le aziende del mondo della robotica e della macchina utensile, che sono state le vere protagoniste del 4.0. Non bisogna dimenticare che questi cambiamenti operativi sicuramente necessari non sono però affatto indolori in termini di costi, di tempi e di formazione del personale e degli stessi imprenditori.

Di recente Ucimu ha indicato nel primo trimestre un calo degli ordini per i costruttori italiani di macchine utensili, robot e automazioni dell’11%, causato soprattutto da un –41,3% sul mercato interno rispetto allo stesso trimestre del 2019. Perché il comparto ricominci a crescere deve quindi ripartire il mercato italiano?

Tutto il mondo si è fermato, non solo l’Italia. Ogni Paese ha dovuto affrontare la pandemia e lo ha fatto in tempi e modi parzialmente diversi ma il calo di ordini, magari con valori diversi, è  purtroppo generale e indiscriminato. I costruttori di macchine utensili operano tutti a livello mondiale, i più piccoli sono forse meno presenti in alcuni Paesi ma siccome ogni costruttore è caratterizzato da un portafoglio prodotti, tecnologie e soluzioni molto specifico, per vivere e crescere ha bisogno di operare nel mondo e tutti per quanto possibile si sono organizzati per essere presenti nel mercato globale sia in termini di assistenza tecnica che di rete commerciale. Questo è evidente esaminando la distribuzione geografica del loro portafoglio ordini: per esempio per Prima Industrie il mercato italiano vale il 15% del suo fatturato globale. La crescita del mercato italiano è comunque sicuramente importante, ma per recuperare e tornare a crescere veramente il comparto della macchina utensile ha bisogno di una ripresa del mercato mondiale.

Nel corso della sua carriera lei ha curato in prima persona il processo di internazionalizzazione del gruppo Prima Industrie e ben conosce cosa è richiesto a un costruttore italiano per essere presente in maniera efficace in un altro mercato. Nei prossimi mesi la mobilità di tecnici e operatori commerciali sarà ancora un po’ limitata, così come sarà più difficile la partecipazione a fiere ed eventi: le aziende italiane dovranno inesorabilmente ridurre il loro perimetro operativo o si possono immaginare diverse ma altrettanto efficaci modalità per essere vicini ai propri clienti?

Un’azienda che progetta, costruisce e vende robot e macchine utensili con tecnologia d’avanguardia ha come mercato il mondo e questo impone una serie di attività che si sono evolute e sono aumentate con la globalizzazione. Come già detto, è essenziale avere in ogni area di mercato un’organizzazione locale di assistenza tecnica e di vendita. Quando la prima macchina, robot o sistema è venduto in una di queste aree, soprattutto nelle più lontane, è necessario che questa macchina sia installata e poi assistita dai tecni ci locali naturalmente con il supporto della casa madre. L’organizzazione non deve essere necessariamente una filiale, può individuarsi anche in un agente con personale tecnico dedicato, ma deve esistere e funzionare dall’inizio della presenza nell’area. Con la crescita di installazioni nell’area l’attività dell’organizzazione preposta aumenta e quindi viene naturale la trasformazione della stessa in una filiale tecnico-commerciale magari in partnership con l’agente, se prima l’attività era a suo carico. In macroaree dove già il mercato è di importanza vitale o ci si aspetta che lo diventi, può essere necessaria l’apertura anche di unità produttive per localizzare parzialmente o in toto alcune attività della casa madre.

Per quanto riguarda poi l’attività commerciale nel mondo della robotica e della macchina utensile, questa richiede sempre di più dei “technical center” o “showroom” dove potere mostrare ai clienti il funzionamento del proprio macchinario e dei sistemi che producono di fronte ai clienti i pezzi che a loro volta dovranno produrre, per cui anche questi servizi che richiedono la disponibilità di macchinario funzionante dedicato e di personale altamente specializzato addetto dovrebbero esse re presenti non soltanto nella sede centrale, ma anche in altre aree di mercato per ottimizzarne la copertura. Un esempio: il gruppo Prima Industrie oggi dispone di 8 stabilimenti di produzione in tre continenti (Europa, America e Asia), filiali in 28 diversi Paesi e in altri ha una presenza tramite agenti per una copertura totale di 80 Paesi del mondo. In febbraio e marzo per motivi diversi si sono fermati solo gli stabilimenti italiani e quello asiatico in Cina, a Suzhou, ma poi in aprile anche questi hanno ripreso gradualmente a lavorare. Tutti gli stabilimenti produttivi del marchio Prima Power sono dotati di “technical center” adeguati alla dimensione del mercato che devono seguire, e il loro scopo è quello di consentire ai clienti dell’area la possibilità di vedere e provare il macchinario di loro interesse in funzione senza dovere affrontare lunghi viaggi. Tutto questo garantisce una localizzazione delle attività che è ottimale in condizioni normali, riducendo trasporti e viaggi in modo consistente ma che ovviamente non può essere adeguata anche in un periodo di estremo contagio come quello che stiamo attraversando. La mobilità oggi è di fatto bloccata non solo tra Paesi ma anche tra regioni, i voli sono stati ridotti in modo inimmaginabile prima del contagio e se anche si riuscisse a viaggiare, all’arrivo e al ritorno si è immobilizzati in periodi di quarantena.

Per quanto molti servizi siano localizzati nelle macroaree individuate, i nostri tecnici e i nostri commerciali non si possono muovere neanche nell’ambito dell’area di loro competenza, perciò sono in grande sofferenza installazioni, assistenza tecnica, attività di promozione commerciale e di dimostrazione del nostro macchinario senza considerare la nostra mancata presenza con o senza macchinario in fiere, visto che queste sono state praticamente tutte annullate o rimandate a date che non sono certe in quanto dipendenti dall’andamento della pandemia. Per questo, avendo già a disposizione da tempo strumenti di realtà aumentata per assistenza tecnica o dimostrazione, li stiamo usando in questo periodo in modo più sistematico come soluzione temporanea, mentre stiamo pensando a tutto quanto sia possibile fare da remoto per essere vicini ai nostri clienti. Per esempio stiamo mettendo a punto una forma di “demo virtuale” per non fermare l’attività dei nostri “technical center”: il cliente che non si può ora muovere per venire da noi con il suo materiale a vedere il nostro macchinario, a produrre i suoi pezzi con il materiale che ci ha portato e verificare la qualità e i tempi del processo, è invitato a inviarci il suo materiale e le sue richieste. I nostri tecnici faranno così la dimostrazione da lui richiesta senza la sua presenza reale, ma il cliente la potrà seguire in remoto in modo interattivo eventualmente chiedendo ripetizioni o varianti, esattamente come se fosse presente. A fine dimostrazione gli saranno inviati i pezzi prodotti in modo che possa valutarne la qualità reale. Speriamo in questo modo di non perdere ordini da qualunque parte del mondo, oggi così preziosi, per non potere dimostrare nel modo tradizionale le prestazioni del nostro macchinario.

Nella fase di emergenza, il governo ha messo in campo alcune misure di sostegno al sistema produttivo, in particolare la priorità è stata data al tema della liquidità. Secondo lei era questa l’esigenza principale delle aziende italiane in questi mesi?

Se quanto dichiarato dal Governo nonostante gli storici problemi della nostra burocrazia si realizzerà in tempi accettabili e se l’Europa si prenderà le sue responsabilità, l’insieme degli aiuti disposti in questa pandemia non ha precedenti nella storia e questa è sicuramente una delle poche buone notizie del momento.

Tuttavia la situazione è molto grave, il numero dei morti nel mondo per contagio è impressionante e lo è il numero delle attività soprattutto piccole che non ce la faranno a riaprire. Come noto in Italia le piccole aziende sono la maggioranza e quelle più deboli sono ovviamente a rischio maggiore, per cui è certo che un numero consistente non ce la farà a sopravvivere. Anche se le necessità di un’azienda per superare una crisi di questa portata sono molte, per salvarla in una situazione di questo tipo il primo passo è darle la possibilità di tentare di sopravvivere alla mancanza di liquidità, che è il problema immediato e più vitale che le si presenta. Credo che il nostro Governo stia operando con priorità corrette e in modo serio e responsabile in una situazione così difficile che ha trovato tutto il mondo, non solo l’Italia, totalmente impreparato.

Quale contributo può dare Siri all’industria manifatturiera italiana nei prossimi mesi?

SIRI, l’Associazione Italiana di Robotica e Automazione, ha aggregato in Italia fin dalle sue origini la cultura della robotica, l’ha fatta crescere e l’ha diffusa, diventando un punto di riferimento in Italia e portavoce nel mondo della robotica e dell’automazione. Fondata nel 1975 senza fini di lucro, è un’associazione culturale che ha tra gli altri scopi anche quello di promuovere lo studio dei problemi sociali, economici ed etici che coinvolgono o derivano da robotica e automazione in relazione all’organizzazione e sicurezza del lavoro, all’organizzazione aziendale e della produzione, alla formazione professionale, alla sicurezza dell’interazione uomo-robot. La robotica e l’automazione sono state protagoniste del miglioramento del lavoro dell’uomo e ora durante la pandemia lo stanno anche aiutando a difendersi dal contagio.

Se studieremo soluzioni di automazione flessibile idonee e se avremo la capacità di realizzarle c’è la possibilità di rendere le fabbriche più sicure per prevenire nuovi contagi e rendere le nostre aziende più “preparate” a eventi che ci eravamo abituati a credere oggi impossibili, ma che questa pandemia ci ha drammaticamente riproposto. Continuare a diffondere e divulgare per quanto possibile la cultura di robotica e automazione anche in questo senso per fare capire e diffondere queste potenzialità sono il contributo che SIRI continuerà a dare in modo trasversale, continuando a promuovere in Italia un’efficace collaborazione fra il mondo della ricerca, degli utilizzatori e dell’industria.