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L’innovazione digitale per l’Industria 4.0 prosegue

In arrivo 113,5 milioni per il rifinanziamento della rete nazionale dei Competence Center per accompagnare sempre più imprese nella digitalizzazione.

«Smettiamola di lamentarci, i Fraunhofer italiani esistono e lottano insieme a noi»: non usa mezzi termini l’attacco sull’inserto L’Economia del Corriere della Sera di lunedì 3 aprile 2023. L’intervista di Dario Di Vico è a Marco Taisch, tra gli esperti del Ministero che portò al Piano Nazionale Industria 4.0 e oggi presidente del Competence Center lombardo MADE. Con lui il quotidiano milanese ripercorre «la storia della digitalizzazione italiana, le polemiche che l’hanno accompagnata e le sfide di oggi».

Qualche primo bilancio

Una prima valutazione dei suoi effetti si compone di due voci: «La prima è prettamente economica, la seconda la potremmo definire come effetto di trascinamento». Industria 4.0 ha fatto crescere il Pil del Paese, spiega Taisch, «perché grazie agli incentivi fiscali ha messo in moto investimenti in beni strumentali che hanno reso la manifattura italiana più competitiva nell’arena internazionale. Il trascinamento è stato nei confronti dei produttori di macchinari che sono stati costretti a produrre oggetti più evoluti, a creare innovazione, ad esportare e quindi a restare in palla. Sommando le due voci si è stati capaci di indicare fattivamente alla manifattura italiana la direzione della trasformazione digitale».

La spinta alla formazione non è però stata adottata quanto si sarebbe potuto e dovuto: «Il livello di competenze italiano del 4.0 è ancora troppo basso. Lo abbiamo visto anche nell’analisi sull’innovazione chiamata DESI (Digital Economy and Society Index), prodotta dalla Commissione UE, che sebbene registri un nostro miglioramento ci relega ancora nelle posizioni di coda».

Taisch fa giustamente notare che le grandi imprese «erano già pronte, avevano la sensibilità giusta e i piani di investimento nel cassetto. Le PMI giocoforza sono arrivate dopo. Per questo motivo i piani governativi devono essere pluriennali, ci vuole tempo. E la chiave è ancora nella formazione che è la via maestra del successo ma è anche assai deficitaria nelle PMI». E ancora: «La cosa importante è che le grandi imprese abbiano capito che i processi di digitalizzazione dovevano investire tutta la supply chain e non restare confinati a monte. Poi è difficile dare un giudizio unico su tutte le filiere, quelle della meccanica dislocate nel nuovo Triangolo Industriale e anche in Piemonte hanno reagito alla grande».

Tra passato e futuro

La spinta al digitale era del resto inevitabile. «Il 4.0 era una tecnologia arrivata a maturazione nel 2013 e si è stati capaci di trasformare una minaccia in una opportunità. Senza Industria 4.0 l’Italia manifatturiera sarebbe stata travolta dalla quarta rivoluzione industriale. In più la legge Calenda non aveva una filosofia invasiva. Era neutrale, diremmo con il linguaggio odierno. Non indicava all’imprenditore il settore in cui investire. Non faceva l’errore che sta compiendo la UE adesso in materia di auto elettrica quando decide le traiettorie tecnologiche uniche senza lasciare spazio alla ricerca e alle scelte dei produttori».

Il ricambio delle macchine obsolete non poteva che precedere l’interconnessione digitale: «Non dimentichiamo che le previsioni di crescita del Pil del 2017 erano +0,8% e dovevano dare un boost alla crescita anche sostituendo macchine che erano molto più vecchie di quelle tedesche, in media 13 anni contro 7. Macchine lente vogliono dire meno competitività».

La nuova situazione

Anche guardare all’automazione o alla sola robotica può essere fuorviante: «Sono pragmatico. Il robot è una tecnologia di produzione tanto quanto una pressa, un computer o un sistema di movimentazione. Sono tutti componenti di un sistema complesso come la fabbrica. Isolare la robotica e dire siamo indietro è un’analisi parziale che induce a risposte sbagliate. Ovvero dobbiamo investire in robotica. No, dobbiamo investire in tecnologie complesse compresa la robotica lasciando scegliere all’imprenditore il giusto mix. Se ho un basso costo della manodopera punterò meno sui robot, il mix tra persone e robot cambia a seconda dei mercati, delle aree geografiche, della disponibilità di capitale umano. Il 4.0 non è sola automazione, non è una ripetizione degli anni Ottanta con il Robotgate che a Mirafiori sostituiva gli operai in linea. È macchine e persone connesse tra di loro. Fornire dati alle persone per fare meglio il proprio lavoro».

Infine, la geopolitica e la globalizzazione fanno allargare lo sguardo: «Se la crescita del nostro Pil nel 2021 e nel 2022 ha superato quello della Germania qualcosa vorrà dire, è un exploit che non nasce dal nulla. La contrapposizione quindi è sbagliata, i dati della Camera di Commercio italo-germanica ci dicono che i tedeschi si fidano della manifattura italiana e aumentano gli scambi perché siamo partner efficienti e lo siamo diventati anche grazie a Industria 4.0. Comunque non vedo un derby italo-tedesco, il vero match è tra Europa e resto del mondo. La digitalizzazione delle fabbriche sarebbe arrivata comunque, è una nascita diffusa che parte dagli USA e che ha coinvolto Corea, Cina, Giappone. Poi arriva in Europa. Possiamo solo riconoscere ai tedeschi di aver concettualizzato la maturità di queste tecnologie e aver proposto un format».

In definitiva, «Ci vuole un piano industriale basato sulla digitalizzazione del Made in Italy di respiro pluriennale. Il Made in Italy non è solo cibo e moda, è soprattutto meccanica, automazione. Allora bisogna aiutare non solo la domanda, ma anche l’offerta di tecnologia, aiutare i produttori italiani di beni strumentali a diventare più competitivi».

In arrivo le risorse per l’innovazione

Nel frattempo, i Competence Center diventano i soggetti attuatori delle risorse del PNRR dedicate all’innovazione. Sono in arrivo 113,5 milioni per il rifinanziamento della rete nazionale dei Competence Center che consentiranno di accompagnare sempre più imprese verso la digitalizzazione.

«I fondi del PNRR rappresentano una grande possibilità per la manifattura del Paese – ha sottolineato ancora Taisch – e mi auguro che la politica industriale italiana sappia guardare ben oltre al PNRR inserendo queste tipologie di finanziamento in un percorso strutturato e di lungo periodo. La digitalizzazione delle nostre imprese deve riguardare soprattutto la meccanica e l’automazione che, grazie alle loro macchine tecnologicamente avanzate, consentono al Made in Italy italiano di fare il vero salto di qualità. Per questo motivo è fondamentale sostenere i produttori italiani di beni strumentali nel diventare più competitivi».

Il finanziamento che MADE 4.0 riceverà per i prossimi 2 anni è ancora in fase di definizione, ma sarà superiore ai 10 milioni di euro (fino a un massimo di 20). Il competence center sta studiando il modo più veloce ed efficiente per rendere disponibili alle imprese i fondi a disposizione. L’idea è di fare un bando a sportello per ridurre al massimo i tempi di attesa e massimizzare la velocità di erogazione degli investimenti alle PMI italiane. «Con questo secondo finanziamento – ha concluso Taisch – MADE 4.0 si pone l’obiettivo di creare oltre 300 nuovi progetti ogni anno. La modalità dei bandi a sportello, che assegnerà le risorse ai progetti valutati positivamente sulla base dell’ordine cronologico di presentazione e fino a esaurimento dei fondi disponibili, ci consentirà di sfruttare al massimo tutte le risorse messe a disposizione dal PNRR per sostenere la transizione digitale e sostenibile della manifattura italiana».