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Cesare Onestini: «L’unione fa la… formazione»

Cesare Onestini è direttore della Fondazione Europea per la Formazione (ETF) da settembre 2017. Prima di entrare in ETF è stato Vicecapo Delegazione dell’Unione Europea in India e Bhutan. Lavora per le istituzioni europee dal 1995, quando ha iniziato occupandosi di promozione della cooperazione nell’istruzione e nella formazione.

di Davide Davò e Raffaella Quadri

Cesare Onestini ha sviluppato progetti per l’educazione interculturale, ha coordinato partenariati scolastici e mobilità degli insegnanti in tutti gli Stati membri e ha fatto parte del gruppo che ha sviluppato proposte per il primo programma europeo di apprendimento permanente. In seguito ha lavorato per l’Unione Europea nelle relazioni esterne, nel commercio internazionale, nella sicurezza e gestione delle crisi e presso la Delegazione dell’Unione Europea alle Nazioni Unite, a New York. Nell’anno accademico 2013-14 è stato Visiting Fellow alla Lee Kuan Yew School of Public Policy e presso l’Università Nazionale di Singapore. Onestini si è laureato all’Università di Oxford.

Di recente ETF ha organizzato la conferenza “Skills for the future: Managing transition”. Partiamo proprio da qui: quali sono le competenze richieste dal mercato del lavoro di domani?

«Sono competenze trasversali che si basano sempre di più sulla capacità di sapere fare e di aggiungere uno spirito critico alle competenze tradizionali. Alla conferenza tenutasi a Torino lo scorso novembre 2018 ne abbiamo discusso con i rappresentanti sia del mondo della scuola e della formazione sia del mondo industriale, associativo e sindacale di oltre 50 Paesi. Si è sottolineato come il mondo del lavoro stia cambiando a un ritmo sempre più elevato e come tali cambiamenti non siano unidirezionali ma stiano coinvolgendo tutti i settori. A volte siamo troppo focalizzati solo sugli aspetti di automazione, intelligenza artificiale e Industria 4.0, dimenticando che anche i settori più tradizionali dell’economia stanno attraversando una trasformazione molto importante che genera un bisogno di nuove competenze e di nuovi approcci educativi e formativi. Molti dei Paesi con cui lavoriamo sono in via di sviluppo e hanno bisogno di confrontarsi non solo con ciò che il mondo tecnologico e digitale offre ma anche con un aggiornamento e una modernizzazione di tutti i settori tradizionali dell’economia».

ETF aiuta i Paesi limitrofi all’Unione Europea a riformare i propri sistemi di istruzione e formazione professionale: a oggi quali sono le maggiori criticità che dovete affrontare?

«ETF lavora con tutti i Paesi vicino all’Europa, quasi 30 nazioni. Nonostante le grandi differenze tra loro ci sono alcuni trend che li accomunano, come la questione della disoccupazione giovanile che si traduce poi in difficoltà di inserimento anche nella politica attiva. Un tema, quindi, non semplicemente economico ma anche di stabilità politica e di sviluppo dei Paesi in senso più generale. Inoltre in alcuni Stati, soprattutto dell’Est, il problema maggiore è l’abbandono del Paese da parte dei giovani; la società quindi, per potere mantenere il proprio sviluppo, si trova a dovere affrontare la questione dell’invecchiamento della forza lavoro e della formazione di lavoratori in età più avanzata. Tuttavia, per tutti questi Paesi – le cui differenze sono determinate da una parte da aspetti demografici e dall’altra da fattori legati al fenomeno della globalizzazione e dello spostamento delle capacità produttive – l’Unione Europea resta un punto di riferimento fondamentale sia per la crescita economica sia per la cooperazione a livello politico e culturale».

Quindi una grande diversità con il punto in comune dell’Unione Europea, che può dare un contributo importante allo sviluppo di questi Paesi. In che modo declinate la vostra azione per riuscire ad avere impatto in realtà tanto diverse?

«Lavoriamo con questi Paesi in modo individuale, abbiamo un processo di monitoraggio delle riforme nei settori della formazione professionale che viene attuato ogni due anni con il nome di “Processo di Torino”, in onore della città che ospita ETF in Italia. Tale processo, che è stato lanciato quest’anno per la quinta volta e che terminerà il prossimo anno, ci permette di fotografare gli sviluppi e i progressi che sono stati fatti in termini di riforme all’interno di ogni Paese. In seconda battuta individuiamo le criticità così come le innovazioni che ne emergono e mettiamo in comune queste esperienze, apportando anche quella degli Stati membri dell’UE. Così facendo riusciamo a rispondere ai bisogni dei singoli Paesi apportando una visione d’insieme che permette loro di scrivere le proprie riforme alla luce delle esperienze altrui».

Ci sono state riforme particolarmente rilevanti negli ultimi anni, in alcuni dei Paesi con cui v’interfacciate?

«In realtà potremmo riportare esempi in tutti i Paesi. In particolare citerei l’esperienza della Tunisia che, dopo la cosiddetta “Primavera araba”, ha avuto un processo di riforma a tutto campo che ha toccato anche il mondo dell’educazione e della formazione. ETF è stato tra i partner che hanno lavorato assiduamente con il nuovo governo per aiutare ad attuare la riforma incentrata su varie azioni, tra cui il decentramento della formazione professionale a livello regionale sotto l’aspetto legislativo e delle competenze. Il processo di riforma ha ricevuto ora un finanziamento importante da parte della Commissione Europea.

Un secondo esempio è la riforma recente, approvata nel corso dello scorso 2018 dal governo della Serbia, sulla formazione duale. Si tratta di una nuova legge sull’apprendistato che è parte di un disegno più ampio di riforma del sistema di formazione professionale e che prevede la partecipazione del settore privato e delle Camere di commercio inquadrati con nuovi strumenti legislativi. Abbiamo partecipato alla creazione del quadro legislativo e stiamo prendendo parte all’attuazione del progetto che, anche in questo caso, incontra il sostegno in parte della Commissione Europea e in parte di altri Stati membri dell’UE. La riforma serba, inoltre, si propone di trovare nuovi modi per attirare e sviluppare competenze che, in questo momento, mancano sul mercato interno ma delle quali si ha necessità; in particolare il Paese ha conosciuto un forte sviluppo dell’industria informatica e si trova già ad avere bisogno di figure che non ci sono sul proprio mercato del lavoro.

Un terzo esempio riguarda l’Ucraina, che sta attuando una riforma capillare del proprio sistema di educazione e formazione, una legge quadro che è stata approvata nel 2017 con anche il contributo di alcuni dei nostri esperti e che adesso, nella fase attuativa, sarà finanziata con oltre 50 milioni di euro dall’Unione Europea».

Lei è direttore dell’ETF da circa un anno e mezzo: com’è andata quest’esperienza fino a ora?

«Sono arrivato alla Fondazione un anno e mezzo fa ma ne conosco il lavoro dalla sua origine perché, quando fu creata all’inizio degli anni Novanta, io ero già un funzionario a Bruxelles nel settore della formazione e dell’istruzione, lavorando ai programmi Erasmus e dedicati alla scuola. Ho poi lavorato vari anni nel settore degli Affari Esteri dell’Unione Europea. Qui a Torino ho ritrovato i due aspetti della formazione e delle relazioni esterne dell’UE con i propri partner che sono anche due priorità politiche dell’Unione Europea: creare le condizioni di prosperità economica e assicurare stabilità politica nei Paesi partner attorno al Mediterraneo, nei Balcani e a Est dell’Unione Europea».

Qual è il vostro rapporto con il Cedefop, il Centro Europeo per lo Sviluppo della Formazione Professionale? Avete progetti in comune e ci sono delle buone pratiche che le due agenzie si scambiano?

«Come ETF lavoriamo all’esterno dell’Unione Europea, mentre Cedefop è l’agenzia europea che si occupa principalmente della formazione professionale all’interno dell’UE, aiutando i Paesi nell’analisi dei sistemi e nello sviluppare nuove politiche. Il dialogo con il Centro è molto importante, perché ci permette di confrontarci sulla base delle nostre esperienze e delle loro conoscenze, sviluppando così nuovi approcci che proponiamo ai Paesi con cui lavoriamo. Per esempio, negli ultimi anni abbiamo lavorato insieme a come sviluppare la formazione professionale a livello post secondario – il cosiddetto “livello 5” della formazione professionale – unendo il bisogno di competenze di punta sempre più specializzate nel settore tecnico e tecnologico alla necessità di riconoscere tali competenze a livello universitario, coniugando quindi i due sistemi, la formazione professionale e l’università, che tradizionalmente sono rimasti separati.

Un altro settore su cui lavoriamo con Cedefop è quello del riconoscimento delle qualifiche, sia all’interno dell’Unione Europea sulla base della legislazione europea in atto, sia con i Paesi limitrofi. Una decina di anni fa fu creato un sistema di monitoraggio dello sviluppo dei sistemi di formazione professionale in Europa coordinato da Cedefop. Il nostro compito, come ETF, è quello di estendere questo monitoraggio anche ai Paesi dei Balcani e a quelli che sono candidati all’Unione Europea, lavorando a fianco del Centro per confrontare le diverse esperienze in un processo di apprendimento reciproco.

Altro tema interessante a cui stiamo lavorando insieme riguarda la reputazione della formazione professionale, vista a volte come una scelta di minore valore rispetto a una più accademica. Un giudizio in molti casi ingiustificato, tanto più che i giovani apprendisti che hanno una formazione professionale non solanto trovano più velocemente impiego, ma nella propria carriera risultano più flessibili e capaci di progredire. Tuttavia, questa percezione errata persiste sia tra i ragazzi sia presso le famiglie. Con la Commissione Europea e gli Sta ti membri, quindi, stiamo attuando varie azioni di informazione tra cui la Settimana europea della formazione professionale – la prossima sarà a Helsinki a ottobre 2019 – con migliaia di eventi per coinvolgere e aiutare le famiglie e i giovani a capire meglio quali siano le prospettive di lavoro collegate ai percorsi di formazione professionale».

Abbiamo letto un documento ETF in cui parlava di “apprendistato come strumento di stabilità politica intorno a noi”: perché questo strumento di transizione dalla scuola al lavoro è così importante per tutta la società?

«La transizione scuola-lavoro è uno dei passi fondamentali del percorso di ogni individuo, un percorso che permette di diventare cittadini attivi a pieno titolo e potere contribuire alla crescita del proprio Paese. Questo passaggio, nei Paesi che sono in fase di transizione politico-economica e che hanno tassi di crescita demografica ancora molto alti, diventa ancora più importante ed è un fattore di stabilità che conta molto. L’UE sta lanciando possibilità di mobilità legate all’apprendistato anche aperte ai Paesi vicini. Il programma Erasmus per l’università, per esempio, da diversi anni è aperto anche agli apprendisti, ovvero ai giovani che sono in formazione professionale e l’UE adesso sta coinvolgendo anche aree vicine come Balcani e Africa. Potersi muovere facendo esperienze lavorative in un quadro formativo permette ai giovani di inquadrare meglio le proprie aspirazioni e di crescere in un contesto più internazionale e più aperto, definendo meglio i propri percorsi futuri».

Il mondo industriale, manifatturiero in particolare, sta attraversando una fase di grande evoluzione dovuta alla digitalizzazione. Gli analisti si dividono tra chi lancia allarmi sull’impatto occupazionale di queste nuove tecnologie e chi invece ne sottolinea l’impatto positivo. ETF come si pone in questo dibattito?

«Non c’è una risposta che accomuna tutti i Paesi e ognuno dovrà trovare la propria strada. Lo sviluppo collegato a nuove tecnologie, Industria 4.0 e digitalizzazione sarà determinato dalle politiche che stiamo attuando adesso e, in particolare, dalle politiche di educazione e formazione che saremo capaci di sviluppare. Come preparare i nostri giovani, e come aggiornare le competenze di chi giovane non è più, saranno gli elementi discriminanti del cambiamento. È importante anche capire che tutti i settori dell’economia sono coinvolti, non solo quelli di punta o tecnologicamente all’avanguardia, ma anche quelli tradizionali, quindi la formazione professionale e l’orientamento alle carriere in questi settori diventa no fondamentali per creare oggi le competenze necessarie al mercato del domani. Nessun Paese ha trovato ancora la soluzione ideale, ma stiamo tutti cercando di capire come coniugare il bisogno di aggiornamento continuo per tenere il passo con il cambiamento tecnologico in atto e portarlo all’interno del sistema di educazione e formazione che abbiamo ora. Tutto questo passa attraverso il ruolo degli insegnanti e dei formatori, mentre è molto importante anche il ruolo dell’industria e delle esperienze di scuola-lavoro e apprendistato che fanno da ponte tra i bisogni del mondo dell’economia e quello – ancor oggi un po’ più statico – della formazione».

Lungo la storia di ETF, l’Unione Europea è molto cambiata (anche solo nei suoi confini): com’è cambiata la vostra agenzia durante queste evoluzioni?

«L’agenzia ETF è stata creata negli anni Novanta, dopo la caduta del muro di Berlino, con la missione di accompagnare il cambiamento economico nei Paesi dell’Europa Centro-Orientale per poterli aiutare a passare da un’economia centralizzata a una di mercato. Questa missione è arrivata al suo compimento con l’allargamento dell’Unione Europea al primo gruppo di Paesi e nel corso degli anni successivi il mandato dell’agenzia è stato modificato per passare a una cooperazione con tutti i Paesi limitrofi, arrivando fino all’Asia Centrale. In questi 25 anni dell’ETF, che festeggiamo proprio in questo 2019, il cambiamento principale è stato il passaggio da una fase di analisi e monitoraggio a una molto più attiva di sostegno alle riforme strutturali e alla capacità di portare l’esperienza dell’Europa nei Paesi vicini, e viceversa.

Ora abbiamo un ruolo più attivo, a livello di politiche settoriali nell’ambito della formazione e dello sviluppo del capitale umano che diventa la risorsa principale in questa nuova economia della conoscenza in cui viviamo, il fattore discriminante che permette ai Paesi di svilupparsi in maniera omogenea e sostenibile. Ed è ciò su cui stiamo lavorando insieme a tutti i nostri partner».