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Il Presidente di Federmeccanica Fabio Storchi “È il momento dell’orgoglio metalmeccanico”  

Ospite sulla poltrona di Tecnologie Meccaniche Fabio Storchi, Presidente di Federmeccanica e Presidente e Amministratore delegato di Comer Industries Spa, con cui abbiamo dialogato sullo stato e sulle necessità del comparto metalmeccanico italiano

Sulla poltrona di Tecnologie Meccaniche (i numeri di Tecnologie Meccaniche sono leggibili online previa registrazione gratuita )  si è seduto Fabio Strochi, Presidente di Federmeccanica..

Quando è stato eletto, ha anticipato che Federmeccanica si sarebbe impegnata per “partecipare al cambiamento”. Ebbene, quale cambiamento sta attraversando l’industria metalmeccanica italiana?
Due anni fa avevo sinteticamente delineato le linee guida che intendevo perseguire. Un percorso associativo fondato sulla consapevolezza che ci eravamo ormai inoltrati in una nuova fase che imponeva di lasciarsi alle spalle il ‘900. Una prospettiva che ci avrebbe visti impegnati non solo nel core business sindacale, ma anche nel mettere al lavoro il patrimonio di cultura industriale di cui siamo portatori. Le imprese manifatturiere hanno percepito, prima di altri attori sociali, la fine di quel ciclo di sviluppo che dagli anni ‘70 al 2000 ha trainato il capitalismo italiano, le sue filiere e i suoi tanti distretti. Sono proprio le nostre imprese, infatti, che, attraverso l’innovazione a 360° configurano già un diverso modello di crescita e di trasformazione sociale. Federmeccanica ha saputo fare propria questa volontà di rinnovamento per tradurla in una strategia fondata su tre capisaldi: il primo, è la comprensione delle cause che hanno determinato la “crisi” che il Paese sta attraversando; il secondo è costituito dalla consapevolezza che stiamo vivendo una “transizione” tra epoche diverse; il terzo, è la conseguente necessità di ripensare alla radice il nostro agire associativo. Per ridisegnare le nostre linee guida, già dal 2014 abbiamo costituito gruppi di lavoro e di ricerca sul campo. In altri termini, abbiamo coinvolto gli imprenditori e gli uomini di impresa. Allo stesso tempo abbiamo attivato una rete di relazioni con i più qualificati specialisti che da anni studiano il nostro sistema produttivo formato da piccole e medie imprese organizzate in distretti e filiere. Allo stesso modo abbiamo coinvolto i maggiori esperti delle questioni legate al lavoro per comprendere quali indirizzi dare all’inevitabile necessità di cambiamento del nostro sistema.
Venendo allo stato del settore, credo che il primo dato rilevante sia il significativo ridimensionamento del tessuto manifatturiero nazionale causato dalla lunga congiuntura negativa. La grande crisi del 2008-2009 e la sua seconda lunga coda, che si è protratta fino all’autunno dello scorso anno, hanno distrutto nel nostro settore il 25% di capacità produttiva con la perdita del 30% di produzione e oltre 250.000 posti di lavoro. Sono numeri che ricordano l’immediato dopoguerra. Dunque, l’obiettivo è uno solo: avviare da subito la ricostruzione. Per farlo, è indispensabile comprendere che la crisi del nostro Paese ha origine dall’incapacità della società italiana di misurarsi con il nuovo paradigma dell’economia globale fondata sull’innovazione e sulla conoscenza. Le imprese e i corpi intermedi, fra i quali Federmeccanica, devono fare la loro parte, ma è necessario per favorire lo sviluppo e la crescita che il Paese acceleri sulla strada delle riforme strutturali. Temi che abbiamo messo a fuoco e affrontato con il documento/manifesto “Uniti per il rilancio dell’industria”, presentato il 27 novembre dello scorso anno in tutta Italia con la partecipazione attiva di ben sessanta Associazioni territoriali. Le sue parole d’ordine sono semplici e inequivocabili: Liberare la fiducia, con nuove Istituzioni e nuove Regole. Liberare le risorse per nuovi investimenti pubblici e privati. Liberare l’ingegno con la tecnologia e la formazione per realizzare Industry 4.0. 

Di cosa ha bisogno il mondo delle imprese metalmeccaniche per ricominciare a crescere?
Il corollario di questa nostra impostazione è che lo Stato si deve togliere di mezzo, facilitare piuttosto che impedire, lasciare che gli imprenditori facciano il loro mestiere. Sulla nostra capacità di crescere e competere, infatti, incidono negativamente fattori oggettivi, irrisolvibili dalle imprese, che ci penalizzano rispetto ai concorrenti internazionali. Abbiamo una rete infrastrutturale carente, una burocrazia poco efficiente, una tassazione sulle imprese al limite della vessazione e un cuneo fiscale sui salari dei nostri collaboratori che non ha eguali negli altri Paesi. Questo ha determinato, dal 2000 a oggi, che il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) è cresciuto di 35 punti, rispetto ai 3 punti della Francia. In Germania si è avuto un incremento nullo, mentre nel Regno Unito si è ridotto di 5 punti grazie a un consistente incremento della produttività che in Italia, al contrario, è aumentata in termini del tutto insufficienti.

L’industria metalmeccanica italiana vende all’estero per quasi la metà dell’intero export italiano. C’è ancora margine di crescita?
Dal 2007 ad oggi l’export metalmeccanico è cresciuto del 2,5%. Nonostante la difficile congiuntura che ha attraversato la nostra economia, a cui si è sommata una costante perdita di competitività del Sistema Paese, le nostre imprese hanno saputo riallocare i propri prodotti sui mercati più dinamici, quelli extracomunitari. Oggi vendiamo ai Paesi extra UE circa il 47% dell’export complessivo rispetto al 40% del 2007. Tutto ciò grazie all’elevato grado di specializzazione raggiunto dalle nostre imprese, al know how posseduto e alla capacità di sapersi adattare ai mutamenti della domanda mondiale. Occorre rilevare però che, nello stesso periodo, il commercio mondiale è cresciuto del 40%. In ogni caso, i dati richiamati ci inducono all’ottimismo: il confronto tra l’evoluzione delle nostre esportazioni e quella del commercio mondiale indica che ci sono ancora ampi margini di crescita per le nostre produzioni. Le maggiori opportunità deriveranno dai Paesi in via di sviluppo che continueranno a registrare tassi di crescita elevati rispetto ai Paesi maggiormente industrializzati. Ma per penetrare in modo rilevante quei mercati, per accrescere le nostre esportazioni occorre da un lato creare le condizioni per essere competitivi su prezzi e qualità e dall’altro mettere in campo strumenti di carattere finanziario che facilitino la penetrazione delle nostre imprese sui mercati geograficamente più lontani. Questa esigenza è nel nostro Paese particolarmente sentita a causa della rilevante presenza nel tessuto produttivo di aziende di piccola e media dimensione. Servono pertanto un potenziamento degli incentivi reali forniti, ad esempio, dal Ministero dello Sviluppo Economico e dalla Cassa Depositi e Prestiti e un rafforzamento delle attività promozionali da parte sia dell’ICE sia degli Enti Regionali e delle Camere di Commercio. In particolare, serve un’azione di accompagnamento da parte del Governo italiano in coordinamento con l’Unione Europea, per definire le azioni prioritarie sul mercato globale.

Federmeccanica ha tenuto per la prima volta il suo board a Bruxelles. Cosa volevate comunicare con questa scelta? Cosa può fare l’Unione Europea per avviare una rinascita industriale in Europa?
Il settore metalmeccanico è il cuore pulsante e il principale motore dell'economia europea. Per questa ragione Federmeccanica si è impegnata per far sentire la propria voce in rappresentanza delle imprese italiane. La difficile situazione in cui versa il Vecchio Continente e, in misura più marcata, il nostro Paese, rende urgente un’agenda politica europea sulla competitività del sistema industriale. Penso ad azioni mirate delle Istituzioni comunitarie e degli Stati membri. Alcuni importanti passi sono stati compiuti, come attestano l’azione in favore del “Rinascimento industriale” e il riconoscimento che l'industria, in particolare quella manifatturiera, rappresenta il centro propulsore dell'economia, ma molto ancora resta da fare, soprattutto, per quanto riguarda le sfide per la crescita e l'occupazione. È indispensabile che l'Europa avvii un cammino di ripresa attraverso un mix di riforme strutturali di carattere monetario e fiscale. La crisi greca ha reso tutto ciò ancora più improrogabile. La mancanza di una voce univoca, la differente visione sulla gestione della crisi e una eccessiva attenzione verso politiche restrittive hanno finora frenato la crescita e creato un fronte anti-europeista in molti Stati membri. È urgente che l'Europa definisca una politica industriale attraverso misure in grado di sostenere la ripresa e gli investimenti pubblici e privati finalizzati a favorire l'occupazione con particolare attenzione a quella giovanile. Il piano straordinario di investimenti, messo a punto da Juncker, va nella giusta direzione ma l’Europa deve fare di più se si vuole ridare slancio al settore manifatturiero e all’economia nel suo complesso. Le Istituzioni europee hanno un ruolo determinante anche nel sostenere e promuovere le Politiche dell'Innovazione, nel dare lo slancio necessario alla nuova rivoluzione industriale e favorire la diffusione di “fabbriche intelligenti”. Questa è la via per “rigenerare” la competitività del Sistema Europa e dei singoli Paesi.
In tale prospettiva, un’attenzione particolare deve essere rivolta alle PMI che, come ho già detto, rappresentano l’elemento cardine della nostra industria. A queste aziende devono essere offerte nuove e maggiori opportunità di rafforzare la loro capacità di innovazione non solo relativa al prodotto ma anche ai processi produttivi e ai nuovi modelli organizzativi per gestire l'impresa del futuro. 

Parliamo di innovazione, cosa può fare Federmeccanica per le imprese italiane che affrontano oggi il tema di Industry 4.0?
Industry 4.0 è una vera e propria sfida, che le imprese e i vari Governi nazionali dovranno affrontare e dalla quale non possono rimanere estranei i corpi intermedi come noi. Proprio per questo motivo, Federmeccanica sta orientando parte delle sue iniziative nei confronti della cosiddetta “quarta rivoluzione industriale”. Un tema che è necessario affrontare per consentire alle imprese di intercettare il cambiamento e di non restare esclusi dalle traiettorie competitive dell'industria globale. In questo nuovo scenario, il ruolo di Federmeccanica è quello di agire come “nodo intelligente”, essere cioè agente di promozione di una diffusa cultura dell'innovazione, come indispensabile driver di competitività e crescita dell'Industria italiana. L'economia della conoscenza e la crescente digitalizzazione dei modelli produttivi stanno ridefinendo i modelli di business, i sistemi di produzione e le catene del valore. È di cruciale importanza che il mondo delle imprese sia messo a conoscenza della profonda trasformazione che si produrrà nel prossimo futuro e che ci sia consapevolezza delle sfide che abbiamo di fronte, per trasformare le minacce in opportunità di crescita e sviluppo. Per raggiungere questo obiettivo Federmeccanica sta identificando e raccogliendo a livello nazionale le best practices sviluppate dalle imprese associate, con l'obiettivo di metterle a fattore comune, a beneficio di tutte le imprese interessate, delle parti sociali, dei lavoratori e di tutti gli attori istituzionali. Industry 4.0 avrà un riflesso significativo anche sulle competenze necessarie a sostenere i nuovi modelli di produzione e lavoro e la domanda di competenze nuove e più complesse inevitabilmente impatterà sui sistemi educativi che sono chiamati ad un importante processo di ri-orientamento e innovazione. Per prepararsi alla gestione di queste nuove traiettorie formative e comprendere i contenuti professionali e le attitudini richieste dai nuovi lavori, Federmeccanica ha sviluppato, in collaborazione con le consorelle tedesca e slovena, con l'Associazione Europea delle Federazioni Metalmeccaniche (CEEMET) e con l'Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul diritto del Lavoro e delle Relazioni Industriali (ADAPT), il progetto “Industry4EU”, presentato per il co-finanziamento alla Commissione Europea nel giugno scorso.

Più volte ha parlato di “orgoglio metalmeccanico”, ci può descrivere che cosa intende con questo concetto?
Nonostante la grande recessione del 2008-2009 abbia colpito il nostro sistema produttivo in misura maggiore rispetto agli altri grandi Paesi industriali – come ho già detto – l’industria metalmeccanica italiana si conferma seconda in Europa alle spalle della Germania e davanti a Paesi di più antica industrializzazione come Francia e Regno Unito. La ricchezza prodotta dal nostro settore, misurata con il valore aggiunto, è pari a poco meno di 100 miliardi di euro, circa l’8% del prodotto interno lordo. Occupiamo 1,7 milioni di lavoratori, rappresentiamo quasi la metà delle attività manifatturiere nazionali e il 50% delle esportazioni italiane sono metalmeccaniche. Senza il saldo positivo della bilancia commerciale metalmeccanica, 64 miliardi di euro nel 2014, il nostro Paese avrebbe serie difficoltà a ripianare i deficit strutturali che ci derivano dall’approvvigionamento di materie prime, di prodotti agro-alimentari e soprattutto di prodotti energetici di cui il nostro Paese è grande importatore. “L’orgoglio metalmeccanico” consiste nel far prendere coscienza dell’importanza vitale del nostro settore e nel far conoscere, anche al di fuori del mondo industriale, il peso che le imprese che rappresentiamo hanno nell’economia del Paese e nel mantenimento e nell’accrescimento del benessere che i nostri cittadini hanno fino a oggi acquisito. Quasi tutti conoscono la varietà e la qualità del nostro cibo, l’eccellenza e l’eleganza della nostra moda, ma pochi sanno che, se i beni di consumo del nostro Paese hanno raggiunto simili livelli in tutto il mondo, lo si deve anche alle macchine e all’innovazione tecnologica che esse contengono e trasferiscono al prodotto. Molti conoscono solo alcune produzioni metalmeccaniche tra cui, solo per fare qualche esempio, le Ferrari, le Maserati o le più belle navi da crociera, ma pochi percepiscono che, dietro la produzione di vino e di prodotti agricoli e alla loro trasformazione, c’è la produzione metalmeccanica di macchine per l’agricoltura e di macchine per l’industria alimentare che costituiscono una eccellenza del nostro Paese, così come dietro i prodotti del tessile e dell’abbigliamento, e quindi della moda, ci sono altre macchine metalmeccaniche, prodotte dal nostro comparto. “L’orgoglio metalmeccanico” nasce quindi anche dalla consapevolezza dell’importanza che il nostro settore riveste per il successo delle altre produzioni nazionali.

Siete in procinto di rinnovare il contratto collettivo nazionale in scadenza, quali sono le vostre posizioni?
Come ho avuto modo di sostenere nel corso dell’Assemblea di Federmeccanica, che abbiamo tenuto lo scorso 19 giugno ad Ancona, “è giunto il tempo di prendere atto che nel nuovo paradigma la relazione tra impresa e lavoro non può più essere centrata solo sulla distribuzione della ricchezza generata dall’impresa. Deve riguardare, prima di tutto, i modi e le forme attraverso le quali contribuire e partecipare alla produzione di quella stessa ricchezza”. In buona sostanza, la ricchezza prima si crea e poi si distribuisce. Senza produzione di ricchezza non possono esserci incrementi retributivi che devono essere, sempre strettamente collegati alla capacità dell'impresa di produrre valore.
Ciò premesso, noi crediamo nell’importanza del contratto nazionale che deve però assolvere a funzioni nuove rispetto al passato. Il contratto nazionale dovrà svolgere un ruolo di garanzia e di tutela nei confronti del lavoro e consentire la distribuzione della ricchezza dove questa, di fatto, si produce, cioè in azienda. Sottolineo ancora una volta che bisogna passare dal costo all’investimento sulle persone, puntando sul welfare aziendale e sulla formazione. Il contratto nazionale non può più erogare incrementi retributivi a pioggia, le imprese non se lo possono più permettere; le retribuzioni dei nostri dipendenti non possono più essere una variabile indipendente dagli effettivi andamenti economici e produttivi delle singole imprese. Sono quindi necessarie azioni correttive immediate ed è nostra responsabilità, insieme al sindacato, cambiare le regole perché occorre prendere atto che, proseguendo sulla strada del passato, si mina sempre di più la capacità delle nostre imprese di essere competitive e di restare sul mercato. E’ giunto il momento di un nuovo patto impresa–lavoro che si fondi sul Coinvolgimento e sulla Partecipazione. Pensiamo ad una “via italiana alla Partecipazione”.
Partecipazione al rischio di impresa e ai risultati e coinvolgimento profondo delle persone nella vita di azienda. Un modello realmente partecipativo non può che svilupparsi a livello aziendale, là dove si possono creare le condizioni per una piena condivisione degli obiettivi e dei risultati. Partecipazione nel nostro modello vuol dire coinvolgere ogni singolo individuo che deve diventare protagonista delle vicende aziendali. Abbiamo messo la persona al centro della nostra azione e stiamo portando avanti un percorso di cambiamento culturale profondo.
Mettere al centro la persona vuol dire coinvolgerla e valorizzarla a 360° gradi. Per questo abbiamo deciso innanzitutto di avviare un vasto processo di sensibilizzazione in tutta Italia sulle relazioni interne, sul rapporto cioè tra imprenditore e collaboratore.
Riteniamo che le relazioni interne non siano alternative o in contrapposizione alle relazioni sindacali ma debbano avere “pari dignità” come anche diceva Felice Mortillaro, da noi recentemente ricordato in un convegno a lui dedicato a 20 anni dalla sua scomparsa. 
E’ fondamentale che, ai momenti periodici di sintesi collettiva, si affianchi un continuo confronto individuale con le singole persone. Le nostre persone devono essere protagoniste del nostro progetto di crescita e sviluppo.
In questi mesi ci sono arrivate numerosissime segnalazioni di “buone pratiche” sui territori e nelle aziende e stiamo entrando nelle singole realtà per analizzare nel dettaglio i processi. Vogliamo partire da casi concreti per tradurre queste esperienze in tecniche e metodologie da mettere a fattor comune. La nostra missione è diffondere una nuova cultura di impresa e del lavoro, basata sul coinvolgimento e sulla partecipazione delle persone.
Per questo stiamo promuovendo in tutti i territori e nelle aziende una campagna di comunicazione verso i collaboratori e da questi ultimi verso gli imprenditori. Comunicare vuol dire parlare e ascoltare. Anche come Federmeccanica abbiamo lanciato sondaggi con imprenditori e dipendenti per dare voce e spazio alle persone, per comprendere il sentiment di chi opera nel nostro settore confrontandoci con il resto dell’Industria. Stiamo costruendo la Community di Federmeccanica. Una comunità fatta di persone e fondata sul valore dell’inclusione.