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4 chiacchiere con Massimo Temporelli

Massimo Temporelli, celebre divulgatore scientifico e presidente di The FabLab, in questa intervista per Tecnologie Meccaniche approfondisce il rapporto tra uomo e tecnologia offren

di Maria Bonaria Mereu

Divulgatore scientifico e presidente di The FabLab, Massimo Temporelli è anche fisico, scrittore, inventore e imprenditore. Ha lavorato per 10 anni al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano, dedicandosi alla progettazione di laboratori educativi e mostre scientifiche e diventandond nel 2005 curatore del Dipartimento Comunicazione. Per 10 anni è stato inoltre iProf su OilProject (oggi WeSchool), e ha insegnato Antropologia e Sociologia allo IED di Milano e Piattaforme tecnologiche per la Televisione all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Diffonde la cultura per l’innovazione con speech e seminari rivolti ad aziende, scuole superiori e università. Svolge consulenze per trasmissioni radio e tv a tema scientifico e tecnologico.

Tecnologia, innovazione e futuro: sono queste le parole chiave più ricorrenti nel panorama industriale. Come sta cambiando la tecnologia e quali ne sono gli effetti nella vita quotidiana delle persone, della società e dell’ambiente in cui viviamo?

«Ci sono tante tecnologie che fanno parte di una lunga tradizione, che evolvono e continueranno a evolversi linearmente, penso alle macchine utensili, ai materiali, all’automazione. Ciò che invece sta succedendo ora di enormemente più grande è l’interconnessione di tutte le tecnologie. Questa è la grande rivoluzione degli ultimi anni: le macchine, le tecnologie, i dispositivi nelle fabbriche, nella società, nelle città, nelle nostre case si sono evoluti, si sono digitalizzati e ora possono parlare tra di loro e farlo utilizzando uno stesso linguaggio universale. Oggi disponiamo di una grande piattaforma di dialogo tra macchine e tecnologie che prima non potevano comunicare tra loro. In secondo luogo – fattore altrettanto importante – stiamo creando un mondo in cui non c’è più confine tra il fisico e il digitale, un mondo che alcuni hanno definiscono “phygital”. Tutto ciò che prima succedeva sul computer restava tendenzialmente sul computer e tutto quello che succedeva nella fabbrica o in casa o nella vita fisica analogica restava nella fisica analogica, oggi invece un’azione proietta un’ombra su un mondo e viceversa. Ecco, quindi, che se svolgiamo un’azione nel digitale questa può avere una proiezione del mondo fisico, se svolgiamo un’azione fisica la stessa può avere una proiezione nel mondo digitale. I bravi imprenditori e manager di oggi sono coloro che capiscono quando ha senso che ci sia una riflessione di un’azione in un mondo piuttosto che nell’altro. Come e perché possa avvenire il passaggio dall’una all’altra realtà sono le domande a cui dovremo rispondere nei prossimi anni e ci vorrà del tempo. Si pensa che l’innovazione avvenga in un minuto, mentre in realtà è un processo lungo, perché è un processo culturale».

Oggi si può ancora parlare di “quarta rivoluzione industriale”, oppure si tratta di un concetto ormai superato?

«È un concetto che chi si occupa di comunicazione vorrebbe superare, perché considerato vecchio, ma in realtà la quarta rivoluzione industriale è una cosa seria. Abbiamo avuto altre tre rivoluzioni industriali – la prima nel 1780-1830, la seconda nel 1880-1920, la terza nel 1970-2010 – che hanno impiegato cinquant’anni per essere espletate e diventare mature. Nel 1780 è iniziata la prima rivoluzione industriale in Inghilterra e nel 1830 è finita; ciò non significa che sia terminata allora, ma che ormai la si dà per scontata. Si tratta dunque di processi che non svaniscono ma si stabilizzano e perché ciò accada occorrono almeno due generazioni. Le rivoluzioni industriali sono processi lunghi, si deve esplorare l’adiacente possibile per vedere se funziona e, se non funziona, tornare indietro ma sempre sulla strada tracciata. Di certe evoluzioni tecnologiche tra cinquant’anni non si parlerà più, nessuno le metterà in discussione, così come oggi nessuno mette più in discussione la corrente elettrica in casa. All’epoca la gente si domandava se fosse giusto o pericoloso avere queste innovazioni, se avrebbero portato a perdere delle abilità. Gli stessi interrogativi che ci poniamo oggi sull’intelligenza artificiale (AI), sui dati e sulla robotica allora se li ponevano su altri paradigmi. È una questione culturale, non tecnica, si deve entrare in una mentalità nuova ed è faticoso.
La quarta rivoluzione industriale è stata lanciata nel 2010 e dobbiamo comprendere che per i prossimi decenni ci confronteremo con questo paradigma, cercando di dargli senso, costruendoci strumenti, prassi, società e organizzazioni. Dovremo digitalizzare i prodotti, perché questa è la quarta rivoluzione industriale: l’Industria 4.0. Il Metaverso e l’IA (Intelligenza Artificiale) sono moti di moda, di esplorazione veloce, che sono però parte di un meccanismo più grande. L’Industria 4.0 sembra passata di moda ma non lo è affatto e serviranno altri venticinque anni di lavoro prima che sia compiuta e potremmo dire di essere tutti, democraticamente, in un paradigma 4.0 dentro il quale nessuno più si porrà domande».

L’intervista completa è disponibile nella Digital Edition della rivista Tecnologie Meccaniche a questo link.