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Il Presidente di Confindustria Giorgio Squinzi: “Contro la crisi puntiamo sulle imprese”

Intervista a Giorgio Squinzi, Presidente di Confindustria, sullo stato di salute delle aziende italiane e sulle azioni necessarie per favorire il rilancio della produzione manifatturiera in Italia

Sulla poltrona di Tecnologie Meccaniche (i numeri di Tecnologie Meccaniche sono leggibili online previa registrazione gratuita )  si è seduto Giorgio Squinzi, Presidente di Confindustria per parlare dell’andamento dell’economia italiana e dello stato di salute della manifattura, soffermandosi in particolare sulle azioni necessarie per favorirne il rilancio

Quali sono le sfide che devono affrontare oggi le aziende italiane?
Siamo solo all’inizio di una stagione nuova nell’economia e nella società, che comporterà il ripensamento di molti dei nostri modelli di sviluppo e di coesione sociale. Una stagione nella quale andranno riscritti i rapporti tra finanza, imprese e lavoro per tornare a costruire occupazione e benessere.
Una stagione che chiamerà tutti a dare il proprio contributo al grande disegno di ricostruzione del nostro Paese. E il senso di responsabilità che dovrà guidarci dovrà essere grande, perché dalla crisi si uscirà solo grazie a noi, solo grazie alle imprese. 
Non si uscirà certo per qualche miracoloso intervento pubblico – per altro difficile viste le condizioni della finanza pubblica e le regole comunitarie – e nemmeno per il gran parlare di riforme, ma solo se le imprese recupereranno competitività e saranno nelle condizioni di progettare investimenti di medio e lungo periodo, che andranno a generare occupazione duratura.
Su questo sento ancora silenzio da parte dei sindacati. Il lavoro lo fanno gli investimenti, la capacità di risposta al mercato, la solidità dei prodotti, il sapere, perché l’impresa è conoscenza applicata nel lavoro. Le imprese sono fatte di persone che collaborano in una organizzazione complessa. Lo fanno sulla base di regole trasparenti, che certamente devono essere condivise, ma che devono essere adeguate ai tempi e agli obiettivi che impone il confronto di mercato.
Questo richiede relazioni industriali moderne e al passo con la competizione che ho descritto, fondata sul sapere, sulla formazione, la produttività e la qualità del lavoro. Questo comporta responsabilità e chiarezza nelle posizioni che si sottoscrivono. Sarebbe utile lavorare tutti in sintonia per soluzioni innovative in azienda e equilibri all’altezza di un mercato del lavoro moderno.

Ma quindi cosa serve all’Italia per lasciarsi alle spalle la crisi?
Segnalo da tempo la necessità conclamata di un vero, reale ‘Progetto Paese’ di policy industriale, chiaro, semplice e trasparente, per alimentare i due processi che soli ci possono portare finalmente fuori dalla crisi: produttività e innovazione. Lo spazio di recupero su questi due temi è grande, ma dobbiamo uscire dai paradigmi fordisti di una economia ancora ancorata a modelli tradizionali. Vanno operate scelte per fare sì che le aziende che hanno deciso di resistere e di crescere possano continuare a competere sui mercati interni e internazionali. E quando dico interni non penso solo al nostro ma penso all’UE come un unico, grande mercato. La crisi ha agito da formidabile pungolo per queste imprese, che hanno risposto alle difficoltà raddoppiando l’impegno e gli sforzi, scegliendo il cambiamento non con timore, ma con grande intelligenza e disponibilità.
Ripeto: il lavoro lo creano solo le imprese. Le aziende assumono se generano profitti e hanno davanti a sé prospettive di aumento dei fatturati. Con una crescita del PIL superiore al 2% – che è un mio punto fermo – in pochi anni si costituirebbero le condizioni per una disoccupazione solo fisiologica per una economia occidentale. Su questo si deve lavorare.

Quali sono le iniziative che il Governo può mettere in campo per aiutare le imprese oggi?
Per raggiungere questo obiettivo occorre consapevolezza che le imprese non possono vincere da sole tutte le sfide con cui si confrontano. Occorre un ambiente favorevole, contraddistinto da minori oneri e costi, sostenuto da amministrazioni efficienti, infrastrutture moderne, energia a prezzi competitivi, un sistema fiscale equo, chiaro e non persecutorio nei confronti di coloro che le tasse le hanno sempre pagate. Anche per questa ragione stiamo insistendo per una forte riduzione del carico fiscale. A onor del vero il Governo una serie di provvedimenti li ha attivati, a partire dall’IRAP, ma sono ancora insufficienti per riavviare la macchina Paese. Solo a titolo di esempio ricordo la tasi sugli immobili dismessi e gli imbullonati.
Se sta a cuore il futuro abbassare le tasse è semplicemente obbligatorio.

Parliamo di Unione Europea, cosa può fare per favorire il rilancio della manifattura? 
Oggi è obbligatoria una riflessione, seria e coerente sull’Europa, che sta attraversando la crisi più profonda dalla sua nascita, senza trovare la forza di trasformarla nella occasione per crescere e per cambiare in meglio. Ci sono troppo squilibri tra gli Stati membri e molte riforme, soprattutto quelle politicamente più ardue, sono continuamente rinviate, con il solo risultato di far crescere tra i cittadini in maniera esponenziale la sfiducia verso l’Europa della sola burocrazia. Manca l’anima e il cuore. Non è questa l’Europa che sogno, anche se resto fortemente convinto che la risposta sia più Europa e non meno Europa. Il campo in cui si continuerà l’Unione che è nei nostri cuori è il lavoro e lo sviluppo, con una agenda politica che abbia sempre il tema della crescita come filo conduttore.
L’ Europa, ancor di più in una fase come questa, ha bisogno di mantenere e promuovere il suo ricco e diversificato tessuto produttivo e manifatturiero, che rappresenta milioni di posti di lavoro in essere e altrettanti in divenire. E dopo anni dove l’industria era scomparsa dal dibattito pubblico e si sentiva parlare solo di servizi o di finanza, c’è ora una crescente consapevolezza dell’importanza e del ruolo manifatturiero in tutte le sue declinazioni, una sorta di terza rivoluzione industriale. Una rivoluzione industriale legata sia alla diffusione e alle molteplici applicazioni delle nuove tecnologie, che stanno modificando radicalmente i nostri consumi, i processi produttivi e la stessa organizzazione del lavoro, che alla sfida di sostenibilità e risparmio energetico.
    
Quale ruolo può avere l’industria italiana in questa “nuova” rivoluzione industriale?
In questo nuovo contesto vedo l’Italia protagonista, se sapremo puntare su investimenti mirati per la crescita, una Italia dove le imprese e il lavoro che rappresentano, come dicevo, devono sentire di vivere e operare in un Paese che le considera e le rispetta. Oserei dire: un Paese che è loro amico.
Sono mille i piccoli segni che l’impresa non è ancora nel cuore della vita pubblica italiana – a partire da una inaccettabile proposta di class action – e che non è chiaro a chi amministra che solo l’impresa può generare crescita e benessere per le future generazioni. Ogni ostacolo gratuito frapposto è una frazione di minore ricchezza per chi verrà dopo di noi, non solo per i nostri figli, ma per tutti. 
Chiudo con una considerazione sulla quale sto riflettendo da tempo, che potrebbe sembrare poco attinente, ma, a mio avviso, ne è anima profonda. Ciò che oggi dovrebbe lasciarci più perplessi è il degrado morale che sembra infilarsi capillarmente nella nostra società. La vita e l’economia reale avranno il sopravvento sulla sfiducia, in cui corruzione, malaffare e speculazione sguazzano con piacere, solo con una forte scossa. Non bastano leggi e riforme. Lo scarto necessario a vincere i fattori che frenano e inquinano la vita civile ed economica è prima di tutto culturale e richiama tutti ad una stagione nuova di responsabilità collettiva, a partire da noi industriali, perché con noi si è formata la cultura della produzione materiale e del lavoro, trasparente e corretto, che orgogliosamente portiamo nel cuore e ogni giorno dimostriamo.
Da noi deve partire uno stimolo e un richiamo morale forte contro l’aleatoria e facile moltiplicazione del denaro senza sforzo, contro l’arricchirsi senza scrupoli. Gli industriali italiani sono i migliori testimoni della realtà che deve affermarsi nel Paese, fondata sul fare, sull’etica e sulla paziente onestà esercitata nel lavoro. Se vincerà questa nostra cultura, questo nostro modo di essere imprenditori veri, vincerà l’Italia tutta.