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Vincenzo Boccia, Confindustria: “Il futuro dell’impresa italiana”

Intervista a Vincenzo Boccia, amministratore delegato della Arti Grafiche Boccia SpA e presidente di Confindustria

Sulla poltrona di Tecnologie Meccaniche (i numeri di Tecnologie Meccaniche sono leggibili on line previa registrazione gratuita) si è seduto Vincenzo Boccia. Classe 1964, laurea in Economia e Commercio, Vincenzo Boccia è amministratore delegato della Arti Grafiche Boccia SpA di Salerno, azienda che opera da oltre 50 anni nel settore grafico, in particolare nel segmento della stampa di periodici specializzati, quotidiani, libri e stampati per la grande distribuzione. Fin dai primi anni Novanta è stato esponente del Gruppo Giovani Imprenditori, giungendo a ricoprire nel 2000 l’incarico di Vice Presidente nazionale. È stato Presidente di Confindustria Assafrica & Mediterraneo e componente della Giunta e del Consiglio Direttivo di Assografici. Dal 2009 al 2013 è stato Presidente della Piccola Industria di Confindustria. Nel corso della presidenza Squinzi ha guidato il Comitato tecnico Credito e Finanza. Eletto il 25 maggio 2016, Vincenzo Boccia è il 30° presidente della Confederazione Generale dell'Industria Italiana. Succede a Giorgio Squinzi e sarà in carica per il quadriennio 2016-2020.

Quale idea ha in mente quando pensa all’industria italiana? 
Quella di un’industria ad alta intensità di investimenti, e quindi di capitale, un’industria ad alto valore aggiunto, fortemente innovativa ed eccellente in ogni funzione aziendale. Imprese aperte e inclusive, capaci di contaminarsi con il mondo della scuola e dell’università. Per raggiungere questi obiettivi dobbiamo saper trasformare le criticità in opportunità, agendo all’interno e all’esterno dei cancelli delle nostre fabbriche: uno sforzo che deve riguardare non solo gli industriali, ma il sindacato, le banche, la politica, l’Europa.
Ogni giorno ricordo a me stesso che siamo il secondo paese industriale d’Europa dopo la Germania. E ne sono orgoglioso, ancora di più se pensiamo a tutti i deficit di competitività – costo del lavoro e dell’energia per esempio – che un’azienda italiana deve scontare rispetto a una tedesca. Se penso a questi freni, però, l’orgoglio diventa subito rabbia perché siamo secondi, ma meriteremmo di essere primi.

In questo panorama qual è il compito di Confindustria?
Confindustria deve essere ponte tra gli interessi delle imprese e quelli più generali del Paese. Abbiamo più volte affermato che non porteremo al Governo proposte che non riguardino la crescita dell’intero Paese. Siamo convinti che non siano necessarie politiche dei settori, ma politiche dei fattori per incidere sui nodi che hanno come obiettivo la competitività trasversale. Non esistono settori innovativi o settori maturi, ma soltanto aziende innovative in settori maturi e non. Non considerare un settore prevalente rispetto a un altro permette, infatti, di cogliere i veri nodi di sviluppo da affrontare. Uno di questi è la produttività e quindi lo scambio salario-produttività. Vogliamo più produttività per più alti salari. Ciò significa che dovremo lavorare insieme al sindacato, con responsabilità. A noi il compito di definire le regole, al Governo quello di agire lato politica fiscale con la detassazione e la decontribuzione dei premi di produttività.

Quale deve essere il rapporto tra il mondo imprenditoriale e quello bancario per consentire la crescita delle imprese italiane?
Dobbiamo costruire con il mondo bancario una stagione “nuova”, in cui si riesca a valutare le aziende non più solo in base ai parametri quantitativi, ma anche agli asset qualitativi. Con alcune banche siamo avanti in questo processo e credo sia la strada giusta per diventare sempre più esperti di futuro e non solo del presente o del passato di un’azienda. 
Dobbiamo aprirci a una grande stagione in cui la disintermediazione con le banche non voglia dire semplicemente sostituire un sistema di debito con un altro, ad esempio mutuo con minibond. Ma trovare soluzioni diverse: il progetto ELITE di Borsa Italiana, per esempio, grazie al quale i capitali di piccole, medie e grandi realtà possono aprirsi a investitori istituzionali italiani e stranieri. 

Come valuta la Quarta rivoluzione industriale?
Siamo di fronte a una grande occasione. Dobbiamo avere la consapevolezza che i fattori di produzione sono oggi quattro e non più due: a capitale e lavoro vanno aggiunte conoscenza e informazione. Per questo, la dotazione infrastrutturale materiale e immateriale è fondamentale per ridurre il divario tra le diverse aree del Paese. Dobbiamo costruire un modello di sviluppo che abbia come riferimento un intervento organico di politica economica in cui la dotazione infrastrutturale non sia questione di una categoria digitale o di un’altra, ma un vero driver di crescita per tutto il Paese. 
Parallelamente, dobbiamo lavorare a livello culturale perché la quarta rivoluzione industriale non è solo tecnologica, riguarda anche le persone, quindi, la formazione. Credo si debba rompere un muro ideologico e costruire un percorso continuo di collegamento vero con le Università e gli istituti tecnici, smontando il pregiudizio che non riconosce loro il ruolo determinante che hanno per la crescita industriale. Magari anche superando quella cultura anti-industriale che è purtroppo ancora forte in Italia.

In questo contesto, quale ruolo può giocare l’Europa?
Intanto dobbiamo intenderci su cosa sia l’Europa: il mercato più ricco del mondo con un debito aggregato inferiore a quello degli Stati Uniti. Ora, Brexit può essere il trauma che ci rende possibile il grande salto, perché ha portato la questione crescita drammaticamente in primo piano. L’Europa deve velocemente comprendere che è arrivato il momento di scambiare le sovranità nazionali, l’austerità, con la crescita comune. 

Confindustria si è espressa a favore del referendum. Perché avete preso una posizione?
Perché abbiamo il dovere di occuparci di politica, quando le scelte della politica hanno ricadute sull’economia reale. Il Paese ha bisogno di governabilità e stabilità che sono elementi fondamentali per continuare sulla strada delle riforme economiche. Sono anni che Confindustria sottolinea l’importanza di modificare la Costituzione per modernizzare le istituzioni e migliorare l’efficacia dei processi decisionali. Quella del Consiglio Generale è stata una scelta di merito, su argomenti e contenuti. La riforma costituzionale guarda infatti all’interesse generale del Paese. È senz’altro migliorabile, ma come dicevo prima è una pre-condizione indispensabile per realizzare quelle riforme economiche necessarie al rilancio della crescita.